il libro
In un contesto in cui la ricerca storica europea appare ancora fortemente condizionata da istanze maschili-bianche e le reti accademiche non sembrano certo distinguersi nell'investire sensibilità ed energie sulla storia dei soggetti "altri", quali le lesbiche sono indubbiamente, i lavori qui presentati assumono sicuramente una rilevanza particolare nel panorama storiografico.
Frutto di un lavoro corale sulle poche fonti e testimonianze di cui ancora si dispone, il volume si avvale dei contributi di alcune note storiche del lesbismo che si occupano di esistenze e resistenze lesbiche nell'Europa dei nazifascismi, includendo anche il franchismo spagnolo. La barra che si è scelto di apporre su "r/esistenze" sta infatti a indicare come per le lesbiche la stessa esistenza possa essere considerata una forma di resistenza (all'eterosessualità obbligatoria, alla cancellazione di sé e delle proprie passioni), ancor più in periodi di forzata "normalizzazione" di tutte le donne come furono quelli dei fascismi europei del Novecento. Ma la "resistenza" che trova spazio in questo libro è anche quella di lesbiche politicamente consapevoli, che fronteggiarono e combatterono con determinazione e coraggio le dittature di Mussolini, di Hitler e di Franco.
Nel volume vengono inoltre affrontate anche le questioni, spesso rimosse, relative alla "zona grigia" della sopravvivenza durante l'internamento e ai rapporti fra "asociali" e "politiche" nei Lager.

le curatrici
Paola Guazzo ha recentemente pubblicato il romanzo Un mito, a suo modo e curato con altre Il movimento delle lesbiche in Italia.
Ines Rieder dagli anni Novanta si occupa principalmente di ricerca storica. Suoi lavori sono stati pubblicati in diverse riviste internazionali.
Vincenza Scuderi è ricercatrice di Lingua tedesca e traduzione presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell'Università di Catania.



martedì 13 luglio 2010

R/esistenze lesbiche- La recensione di Luisa Passerini su "Il manifesto"

da "Il Manifesto", 11 luglio 2010

Pratiche di desistenza per vite messe all'indice
La persecuzione delle lesbiche durante il nazismo
di Luisa Passerini

Pregi di questo libro sono la dimensione sovranazionale - i casi trattati si riferiscono all'Austria, alla Germania, alla Spagna e all'Italia - e la documentazione di molte vite di donne, spesso nei campi di concentramento, attraverso fonti di varia natura. Vengono infatti presi in considerazione documenti da atti processuali, memorie autobiografiche, testi giuridici, codici, testimonianze orali, testi letterari e teatrali. Giustamente lamentano le curatrici che molti archivi, come quelli ungheresi, sono ancora inaccessibili, il che limita fortemente la ricerca storica. Nello stesso tempo, non è soltanto quest'ultima che viene limitata, ma anche l'universo della commemorazione, che sta assumendo una dimensione sempre più fortemente europea, nel quale però le figure delle lesbiche non sono ancora presenti in maniera adeguata.
La barra che compare nel titolo indica che per le lesbiche non è possibile semplicemente esistere, che le loro scelte sessuali ed esistenziali implicano sempre anche qualche forma di resistenza, in particolare per quanto riguarda la vita in ambiti totalitari. Il concetto di resistenza assume in tal modo una dimensione quotidiana e culturale, che amplia la concezione della politica e la spinge a confondere i confini tra pubblico e privato. Il tema del rapporto tra esistenze e resistenze è esaminato in particolare nel saggio di Paola Guazzo, che usa termini significativi come «'modi' di esistenza delle lesbiche italiane durante il fascismo», «'sopravvivenza' associativa femminile» e «pratiche di complicità» verso il potere nazifascista, altrettante espressioni che indicano la complessità delle forme di vita nella situazione dei soggetti di regimi totalitari.
Su questa linea, gli aspetti più interessanti della raccolta sono quelli in cui la contestualizzazione storica del concetto di lesbica viene problematizzata e complicata. Così Vincenza Scuderi sottolinea che non fu il lesbismo la causa prima dell'esilio e della persecuzione di molte donne da parte del regime nazista, ma «piuttosto una commistione assai più esplosiva fra lesbismo, impegno politico e, talvolta, origine ebraica». Parecchie delle donne considerate nel libro infatti erano ebree e in quanto tali oggetto di molteplici forme di discriminazione. Scuderi indica quindi che sembra emergere non tanto un soggetto lesbico individuabile univocamente come tale, quanto piuttosto un atteggiamento queer, dove «la scelta di identità sembra situarsi in un crinale intermedio, realizzandosi in diverse forme e possibilità quasi contemporanee».
Un contributo di rilievo in una direzione simile è il saggio di Marie-Jo Bonnet, che decostruisce acutamente la connotazione denigratoria di julot nel contesto del campo di concentramento di Ravensbrück. Il termine sembra a tutta prima indicare le «pappone» tedesche, ma in conclusione della sua analisi l'autrice può avanzare l'ipotesi che fosse l'intero campo della sessualità tra donne a venire accomunato sotto quella definizione, associando l'omosessualità e la prostituzione. Tuttavia Bonnet si domanda anche se la figura della julot non sia una specie di cortina fumogena dietro la quale potessero essere vissuti sentimenti d'amore. Un intrico di passioni, calunnie, odi emerge infatti in parecchi saggi, svelando casi di lesbicofobia, soprattutto da parte delle recluse politiche; è questo mondo dell'intersoggettività sofferente e conflittuale in situazioni estreme che dovrà essere ulteriormente studiato e compreso in prospettiva storica.
Un ulteriore punto di interesse è quello in cui la dimensione comparativa tra i diversi paesi viene tematizzata, come accade direttamente soltanto nel saggio di Raquel Osborne, che addita le molteplici somiglianze fra due istituzioni totali: il mondo dei campi di concentramento nazisti per donne e le carceri femminili spagnole del primo periodo franchista. Osborne prende avvio da un'impostazione foucaultiana, nel senso di una concettualizzazione della micropolitica e della penetrazione nel tessuto sociale del dispositivo della sessualità, individuando nell'autorepressione sessuale una linea di difesa fondamentale. Ciò appare di particolare rilevanza al fine di rompere le barriere tra le istituzioni separate e la società nel suo complesso, in special modo, ma non soltanto, durante i periodi di repressione totalitaria. In una direzione simile vanno le ripetute sottolineature, nel corso del libro, della similarità del destino tra donne che compivano scelte lesbiche e donne di cui non si conoscevano le scelte sessuali o che mettevano in atto scelte eteronormative. Può essere intesa in questo senso per esempio l'osservazione di Vincenza Scuderi secondo cui il grande successo del film Mädchen in Uniform (Ragazze in uniforme) del 1931 era stato decretato da un pubblico amplissimo e non esclusivamente omosessuale.
Dalle pagine di questo libro emerge una folla di donne note e poco note, da Margarete Buber-Neumann, la scrittrice comunista amica di Milena Jesenská, che ha testimoniato nel libro dedicato a quest'ultima sulle relazioni d'amore tra le donne nel campo di Ravensbrück, all'attrice di origine tedesca Dorothea Neff che salvò la vita di una costumista ebrea che rischiava la deportazione, nascondendola nella propria casa a Vienna. Tuttavia, in molti saggi l'intento documentario sopraffà ancora la potenzialità analitica, privilegiando un approccio storico descrittivo che punta soprattutto sulla rivelazione di storie finora inedite o poco conosciute. Così ad esempio la natura dei reticoli - o «cerchie di amiche», come vengono definite - potrebbe essere esplorata analiticamente e prestarsi a qualche formalizzazione qualitativa, ma non è stata sottoposta a un'analisi sufficientemente articolata. Molti documenti di grande rilevanza storica sono semplicemente presentati con lunghe citazioni dall'originale, come una lettera di denuncia alla Centrale della Polizia Politica di Francoforte del 1936 su «una relazione di dipendenza sessuale (lesbica)» tra «la bionda Hedi», di 22-23 anni, «molto distinta» e la signora K., moglie divorziata di un membro delle SS, mentre anche solo l'analisi del linguaggio avrebbe offerto molti spunti interessanti. Proprio questo libro, presentandoci un bilancio degli studi nel settore, dimostra che è assolutamente urgente andare oltre l'intento di rompere il silenzio sulle «vittime dimenticate» e la constatazione che le lesbiche «nel migliore dei casi tacessero sulla loro relazione lesbica, nel peggiore la negassero». Il «non dire» rivela anche le contraddizioni nelle quali si dovettero dibattere le donne discriminate a causa delle loro scelte sessuali e politiche: i punti alti di questa raccolta sono quelli in cui tale complessa mescolanza viene svelata e restituita alla nostra memoria, con empatia per la forza delle donne del passato e pietas per le loro sofferenze, comprese quelle causate dai conflitti tra di loro.

http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20100711/pagina/12/pezzo/282305/

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