il libro
In un contesto in cui la ricerca storica europea appare ancora fortemente condizionata da istanze maschili-bianche e le reti accademiche non sembrano certo distinguersi nell'investire sensibilità ed energie sulla storia dei soggetti "altri", quali le lesbiche sono indubbiamente, i lavori qui presentati assumono sicuramente una rilevanza particolare nel panorama storiografico.
Frutto di un lavoro corale sulle poche fonti e testimonianze di cui ancora si dispone, il volume si avvale dei contributi di alcune note storiche del lesbismo che si occupano di esistenze e resistenze lesbiche nell'Europa dei nazifascismi, includendo anche il franchismo spagnolo. La barra che si è scelto di apporre su "r/esistenze" sta infatti a indicare come per le lesbiche la stessa esistenza possa essere considerata una forma di resistenza (all'eterosessualità obbligatoria, alla cancellazione di sé e delle proprie passioni), ancor più in periodi di forzata "normalizzazione" di tutte le donne come furono quelli dei fascismi europei del Novecento. Ma la "resistenza" che trova spazio in questo libro è anche quella di lesbiche politicamente consapevoli, che fronteggiarono e combatterono con determinazione e coraggio le dittature di Mussolini, di Hitler e di Franco.
Nel volume vengono inoltre affrontate anche le questioni, spesso rimosse, relative alla "zona grigia" della sopravvivenza durante l'internamento e ai rapporti fra "asociali" e "politiche" nei Lager.

le curatrici
Paola Guazzo ha recentemente pubblicato il romanzo Un mito, a suo modo e curato con altre Il movimento delle lesbiche in Italia.
Ines Rieder dagli anni Novanta si occupa principalmente di ricerca storica. Suoi lavori sono stati pubblicati in diverse riviste internazionali.
Vincenza Scuderi è ricercatrice di Lingua tedesca e traduzione presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell'Università di Catania.



sabato 18 settembre 2010

R/esistenze lesbiche - la recensione di Carla Cotti su "Liberazione"

R/esistenze lesbiche - la recensione di Carla Cotti su "Liberazione"
"R/esistenze lesbiche"
vite non conformi
nella bufera nazifascista

Carla Cotti
All'avvento del Terzo Reich, K. vive già da anni con una compagna. Cominciano i guai. Alla padrona di casa chiedono se sa qualcosa sulla sua vita intima. Il caporedattore le ingiunge di sposarsi, pena la perdita del lavoro. K. decide una soluzione di copertura: con la compagna, si metterà a vivere insieme a una coppia gay. I quattro affittano un grande appartamento. Ma non basta. Il portiere-spia del partito non è convinto: «Non potete certo vivere more uxorio, non è gradito al Führer». Unica via di scampo: due matrimoni eterosessuali.
1938. Il questore di Roma chiede all'apposita Commissione provinciale il confino per Agata: «…la prostituta F. Agata in oggetto essendo affetta da una gravissima forma di ninfomania, è dedita a rapporti lesbici con altre prostitute e sottopone, a quanto sembra, a esosi sfruttamenti quelle pervertite sessuali che con essa hanno rapporti». Per Agata scattano tre anni di confino, in provincia di Nuoro.
Rosa Jochmann, nata a Vienna nel 1901, operaia, sindacalista, segretaria della sezione femminile e componente della direzione del Partito socialista austriaco, poi in clandestinità con il gruppo dei socialisti rivoluzionari, nel 1940 viene deportata (con l'annotazione "Ritorno indesiderato") a Ravensbrück. Liberata nel 1945, entrerà in Parlamento, sarà presidente della sezione femminile del Partito socialdemocratico e infaticabile testimone degli orrori nazisti. Ma nel 1949 una compagna di prigionia scrive al presidente della Repubblica Leopold Figl, denunciando che a Ravensbrück Rosa era nota come Mutti (mamma) e aveva una compagna soprannominata Vati (papà), che Vati aveva insidiato sua figlia provocando scenate di gelosia da parte di Rosa, che Rosa e il suo seguito lesbico rendevano la vita difficile alle altre prigioniere e godevano di privilegi per esempio sulle razioni alimentari, che Rosa si era presa cura delle prigioniere più giovani al solo scopo di sedurle. Rosa si difenderà disperatamente da queste accuse, scrivendo a sua volta al Presidente della Repubblica e chiedendo ad altre reduci di Ravensbrück di prendere posizione a suo favore: ripeterà che il sospetto di lesbismo al campo colpiva tutte le amicizie, che non ha mai sentito il soprannome Vati, che non può sopportare la calunnia di aver abusato di bambine, mentre i discorsi sul lesbismo non le interessano, la «lasciano indifferente».
Sono solo tre delle storie citate nella raccolta di saggi a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder e Vincenza Scuderi R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista in libreria per l'editrice Ombre corte di Verona (pp. 190, euro 19).
Cosa sappiamo dell'esperienza delle lesbiche europee negli anni Venti e Trenta? Molto poco, almeno in Italia. Gli studi sul tema sono stati aperti, per quanto riguarda il nostro Paese, da Fuori della norma. Storie lesbiche nell'Italia della prima metà del Novecento, a cura di Nerina Milletti e Luisa Passerini, uscito per Rosenberg & Sellier solo nel 2007. Tra le cause di questo vuoto, la reticenza della storiografia, anche quella femminista, come evidenzia Paola Guazzo nel suo contributo - l'unico dedicato al nostro paese - "Al ‘confino' della norma". Da qui l'importanza di questo progetto collettivo, che ha lanciato le sue reti in giro per il continente, per poi tradurre e presentare saggi editi e inediti di ricercatrici di area austro-tedesca, francese e spagnola, e ne ha prodotti di originali. I contatti avviati con studiose ungheresi, polacche ed ex jugoslave non hanno prodotto per ora lavori sulla realtà di quei paesi, così come non è stato possibile trovare traccia di lesbiche combattenti in unità partigiane, ma scrivono le curatrici, «restiamo convinte che questo non significa che non siano esistite».
In rapida carrellata, il volume illustra l'esperienza delle lesbiche tedesche dall'impero alla fine della seconda guerra mondiale (Claudia Schoppmann), la loro situazione sotto il nazismo (Ilse Kokula, saggio del '92, uno dei «testi pionieri» sul tema), l'opzione dell'esilio (Vincenza Scuderi) e un caso emblematico di persecuzione politica (Ines Rieder sulla figura di Mopsa Sternheim), la vita lesbica in Austria tra gli anni Venti e i Trenta (di nuovo Rieder), quella nell'Italia fascista (Guazzo, già citata) e l'immagine del lesbismo tra le internate: a Ravensbrück, vista soprattutto con gli occhi delle prigioniere politiche francesi (Marie-Jo Bonnet, parte di uno studio più ampio sulla solidarietà nei campi, che affronterà anche Auschwitz-Birkenau), e nelle carceri franchiste, con gli occhi delle prigioniere politiche spagnole (Raquel Osborne).
Primo impegno del lavoro, ovviamente, quello di ricostruire e informare: modalità della repressione e forme possibili di interstiziale libertà delle lesbiche nei diversi paesi e situazioni non sono certo argomenti che, almeno in Italia, si studino a scuola. Rendere patrimonio comune la semplice nozione che l'olocausto riguardò, oltre gli ebrei e i "politici", anche rom e omosessuali è già un processo faticoso: ma quante/i sanno che i "triangoli rosa" che condannarono i gay riguardarono assai poco le lesbiche, molto spesso deportate, torturate e uccise con la stella gialla (tante erano anche ebree) o nero (riservato agli "asociali")?
Ma la raccolta è percorsa anche da un secondo impegno, dichiarato da Guazzo: quello di affrontare le "zone grigie". Scrive Guazzo: «Il nostro libro, in particolare nell'intervento di Marie-Jo Bonnet, affronta alcune pratiche di complicità attuate da lesbiche verso il potere nazifascista nella situazione limite del lager. Mi sembra importante che, in linea con i più recenti esiti della ricerca europea, anche in Italia cominci a esprimersi una storia lesbica non limitata da zone grigie di silenzio. Se alcune biografie contraddicono in parte o completamente quella che forse è una residua "mitologia dell'oppressa" non per questo ha senso che queste siano cancellate dalla memoria o coperte di omissis».
Ecco allora l'enigma delle julot di Ravensbrück, figure assai poco chiare di prigioniere stigmatizzate e temute dalle altre: per il loro lesbismo, ma anche per i privilegi alimentari e vestimentari guadagnati con la prostituzione e la disonestà e concessi ad altre internate pare in cambio di favori sessuali, e per il loro status di kapo. La definizione è usata dalle sopravvissute francesi, tutte prigioniere politiche, e si applica a tedesche in larga parte prigioniere comuni, intrecciando lesbofobia e antinazismo. Un fenomeno paragonabile a quello che si registra, in maniera più chiara ed eclatante, tra le prigioniere politiche nelle carceri franchiste: per sopravvivere a decenni di reclusione le repubblicane, e in particolare le comuniste, concepiscono e applicano una disciplina sessuale ferrea, che esclude drasticamente in quanto forma di debolezza, e quindi di vulnerabilità di fronte agli aguzzini, l'esperienza lesbica (come anche l'autoerotismo). La prigioniere che si macchiano di queste trasgressioni alla morale collettiva vengono radiate dalle attività di studio e elaborazione politica comune che sono la principale fonte di resistenza delle prigioniere e definitivamente espulse dalla cellula di partito. Esperienza di repressione e autorepressione del lesbismo da parte di militanti antifasciste che paradossalmente mutua e rinforza quella del regime che combattevano. Un allineamento tragico, che più tardi qualcuna di queste "monache rosse" almeno in parte rimpiangerà: «Voglio dire che abbiamo voluto essere pure, pure, pure, però oggi ti deprime pensare che la cosa più umana sarebbe stata quella di non essere tanto rigide (…) Perché oggi è una cosa che si giustifica, che si difende, il fatto dell'omosessualità, ma noi allora lottavamo ferocemente contro questo (…). Nonostante ciò, continuo a credere che fosse abbastanza giusto».
Ecco, basterebbe il cono di luce acceso su realtà oscure come queste per giustificare R/esistenze lesbiche e augurarsi che l'esplorazione iniziata prosegua e si allarghi a raggiera. Tanto più che, come scrivono le autrici, "«a barra posta su r/esistenze indica che per le lesbiche la stessa esistenza può essere considerata una forma di resistenza (all'eterosessualità obbligatoria, alla cancellazione di sé e delle proprie passioni), vieppiù in periodi di forzata "normalizzazione" di tutte le donne come furono quelli dei fascismi europei del novecento. Trovare tracce di chi è "semplicemente" esistita è un lavoro difficoltoso tanto quanto lo è scrivere la storia di chi ha resistito».

da "Liberazione"
18/09/2010
http://www.unilibro.it/find_buy/Scheda/libreria/autore-non_specificato/isbn-9788895366647/r_esistenze_lesbiche_nell_europa_nazifascista_.htm

mercoledì 8 settembre 2010

R/esistenze lesbiche - la recensione di Daniele Salerno

http://centrotrame.wordpress.com/2010/09/06/storia-della-persecuzione-delle-lesbiche-sotto-il-nazifascismo-la-fine-di-una-damnatio-memoriae/

Storia della persecuzione delle lesbiche sotto il nazifascismo: la fine di una damnatio memoriae?

6 settembre 2010
di Daniele Salerno

Di R/esistenze lesbiche nell’Europa antifascista – raccolta di saggi a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder e Vincenza Scuderi – ci eravamo soffermati qualche mese fa in occasione della giornata che ricorda i fatti di Stonewall. Il libro arriva a tre anni dalla pubblicazione del primo lavoro sulla storia lesbica italiana e a due dal primo convegno sull’argomento, come ci ricorda Guazzo nel suo saggio. Si tratta quindi di uno dei primissimi frutti di un lavoro storiografico e di ricerca che, a 65 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale è, almeno per l’Italia e la Spagna, ancora agli inizi.

Gli otto saggi raccolti fanno proprio il punto sull’indagine riguardante la storia delle lesbiche in Germania, Austria, Spagna e Italia (con frequenti riferimenti alla situazione francese) che seguono in particolare due direzioni: la raccolta e lo studio della testimonianza nelle sue varie forme (in una corsa contro il tempo, per quanto riguarda le testimonianze orali, vista l’età avanzata delle superstiti) e quello delle forme istituzionali assunte dall’oppressione esercitata verso le lesbiche.
Com’è possibile che gli studi e le ricerche di storia del lesbismo siano cominciati con tanto ritardo? Dalla lettura dei saggi raccolti in questo libro – e in particolare di quelli di Schoppmann e Kokula che ricostruiscono la storia delle lesbiche in Germania dall’Impero alla Seconda Guerra mondiale – possiamo avanzare una ipotesi: la legislazione nazista, non prevedendo esplicitamente un paragrafo del codice penale contro le lesbiche, ha funzionato di fatto come una forma di damnatio memoriae da cui solo ora si sta uscendo.

La rimozione del soggetto lesbico nella legislazione nazista ha prodotto infatti due conseguenze: dal lato del lavoro dello storico ha prodotto la difficoltà di riconoscere e tracciare, a partire dai documenti, una storia delle lesbiche sotto i regimi nazifascisti, dato che questo soggetto, al contrario dei gay nominati come 175 (paragrafo del codice penale tedesco contro l’omosessualità maschile), giuridicamente non esisteva; dall’altro lato il sistema classificatorio giuridico e concentrazionario nazista ha modellato il sistema classificatorio della giustizia di transizione: chi non era esplicitamente nominato nei documenti e nelle forme classificatorie dei campi di concentramento (i triangoli di vario colore, tristemente noti) ha avuto difficoltà nel dopoguerra a costituirsi ed essere riconosciuto dagli stati europei come vittima dei regimi nazifascisti. Da qui i ritardi nel riconoscimento: solo nel 1987 nel parlamento di Bonn furono ascoltate delle vittime del Nazismo nella loro qualità di lesbiche; e solo nel 1996 in Francia alla Fondazione per la Memoria della Deportazione venne dato il compito di vagliare la storia dei soggetti omosessuali durante Vichy.
La raccolta di saggi oltre a costituire un corpus di studi fondamentale per costruire una solida storiografia lesbica ha, a mio avviso, anche un altro grande pregio: la prospettiva europea e transnazionale, come dimostrano le nazionalità delle autrici dei saggi. Questo ha permesso di vedere quanto lo stigma dell’identità lesbica fosse interiorizzato sia dalle stesse lesbiche sia dalle militanti antifasciste in chiave antitedesca. L’analisi e lo studio dell’universo concentrazionario di Ravensbrück – di Bonnet e di Osborne – il più grande campo di concentramento femminile nazista, mette proprio in evidenza quanto l’identità lesbica fosse un’ombra da proiettare continuamente, da parte francese e spagnola, sul nemico tedesco.

Se dobbiamo individuare un limite che purtroppo si avverte nella lettura di questa raccolta è proprio la mancanza di sistematicità e di una visione che tenga unito il quadro generale. Se si eccettua il tentativo di Guazzo di tracciare una tipologia delle esistenze lesbiche in Italia, spesso si percepisce un accumulo di storie e di particolari da cui non si riesce a ricavare una visione d’insieme. Un limite forse proprio dovuto alla scarsità di opere teoriche generali su cui appoggiare questi saggi. D’altra parte questo rischio pare essere già previsto dalle stesse curatrici: l’obiettivo che queste si pongono è appunto fare massa critica di ricerche e lavori al fine di avviare e fare crescere questo nuovo filone di ricerca. R/esistenze lesbiche quindi passa il testimone, e i suoi testimoni, a chi vorrà seguire, nella costruzione di un campo di indagine di cui questo libro, tra i pochi, ha il merito di tracciare i contorni.

R/esistenze lesbiche nell’Europa nazifascista
a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder e Vincenza Scuderi
Ombre Corte, 2010
pagg. 190